Partendo dall’enunciato di Russel: “se io ho conoscenza di una cosa che esiste, grazie a questa conoscenza “so” che quella cosa esiste” constatiamo così che la conoscenza empirica è di ciò che osserviamo in modo immediato, da ciò si deduce che non possiamo conoscere se non ciò che può essere verificato proprio nel momento in cui accade l’atto della conoscenza. Questo sarebbe lo stesso per il fenomenismo? In modo rigoroso il fenomenismo essendo di pertinenza metafisica che valorizza il cosiddetto mito del dato dell’esperienza, assume una posizione conforme alla quale l’aspetto semantico è analizzabile strettamente nelle condizioni dell’esperienza possibile, in un inclusione sintetica. Fondamentalmente, una tale dottrina assume due premesse:
- esistono diverse fasi della conoscenza che sono coerenti e interdipendenti, ugualmente fondate su una base fondazionista;
- la fondatezza della conoscenza come tale consta in percezioni (comprensione) sopra le sensazioni, sopra le impressioni prodotte sugli organi di senso, sulle apparenze o sui fenomeni;
Queste due premesse generano una conseguenza conforme alla quale la singola percezione che sta alla base della struttura della conoscenza è, detto in sintesi, la percezione di quello che ci è dato nell’esperienza o di quello che ci appare come dato nell’esperienza; propriemente detto, questa è l’essenza del fenomenismo. La difficoltà maggiore che ha luogo dall’accettare la visione del fenomenismo deriva, principalmente, dall’assenza della forza descrittiva della giustificazione della comprensione come tale.
Stando cosi le cose, la dottrina fenomenista è un complesso eterogeneo di più correnti di fenomenismo diverse fra di loro: cominciando con la teoria della percezione formulata nell’epoca moderna da George Berkeley e continuando con le tesi delle descrizioni formulate da Russel siamo messi a confronto con delle visioni- concetto fenomeniste. Tra tutte queste “la costruzione di Carnap è il culmine del fenomenismo” il cui il obiettivo era “solo l’integrazione sistematica dei nostri concetti scientifici di mente e natura” .
A me pare che un problema centrale nell’analisi descrittiva della conoscenza è legata alla giustificazione del contenuto della conoscenza come tale. Ogni contenuto della conoscenza si può formulare in proposizione, invece le nostre asserzioni o proposizioni incontrano l’ostacolo della giustificazione di queste, così che fino al momento della legittimazione della conoscenza sulla base della fornitura di una giustificazione in favore di questa abbiamo a che fare con una semplice pretesa di conoscenza. In un certo senso, la critica del realismo epistemologico riguarda il problema della giustificazione della conoscenza del punto di vista fondazionista: giustificare un enunciato che rivendica una pretesa di conoscenza si limita così a una forma di fondamento di questo. È ammissibile la possibilità della fondazione della nostra conoscenza sui cosiddetti enunciati primari (basic sentences) poiché da una parte, l’accettazione di questi enunciati allontanerebbe l’obiezione della giustificazione all’infinito di alcuni enunciati complessi, invece d’altra parte è possibile l’identificazione di alcuni di questi enunciati semplici sotto la forma della conoscenza diretta o della corrispondenza immediata tra enunciato ed esperienza.
Allo stesso modo il fondazionismo epistemico come modello di giustificazione ultima dei nostri enunciati e la possibilità della conoscenza diretta costituiscono ancora dei punti nevralgici per il criticismo epistemologico; in generale è ammesso oggi che le nostre fonti di conoscenza sono molteplici: tra queste, l’epistemologia contemporanea pone l’accento sopra le fonti interne della conoscenza (la percezione, la memoria, le inferenze razionali) e sulle fonti di origine esterna (le testimonianze, le evidenze, le prove che implicano la veracità di una fonte esterna in rapporto con il soggetto che formula una pretesa di conoscenza).